28 febbraio 2010

Cosa fare quando andiamo in svantaggio?


Giochiamo e dunque capita di andare in svantaggio. Capita di finire il primo tempo oppure proprio tutta la partita in svantaggio concludendo quella faccenda con un bella, ma proprio brutta e sonante sconfitta. Una di quelle sconfitte che ti si attacca addosso e che ti porti tutta la settimana sulla pelle, senza riuscire di smettere di pensarci. Ma ci sta, fa parte del gioco stesso del giocare!

E' brutto andare in svantaggio: ci hanno fregato! O sono stati particolarmente bravi da fare davvero una bella azione, oppure sono stati più veloci di noi, più scaltri, più attenti, più precisi, più rapaci!

Ci siamo distratti ed abbiamo reputato un'azione che "sembrava controllata", in qualcosa di inaspettato e dannatamente dannatamente dannoso per la nostra squadra. Non siamo stati sufficientemente attenti ed abbiamo valutato male una certa situazione o una certa persona: e siamo sotto!

E adesso non si può che reagire, ed in qualche modo si reagisce per forza d'istinto:
  • si può iniziare ad imprecare e ad urlare anche contro i propri compagni: ma questo è solo un modo implicito di cercare di discolparsi dalle proprie responsabilità e di dimostrare, fintamente ed improduttivamente, che quella partita ci interessa: ma in realtà se ci interessasse davvero non faremmo così, visto che questo comportamento danneggia ancor di più la nostra situazione;
  • ci si può arrabbiare e si può mettere ancora più attenzione in ogni palla: serrare le fila, non far più passare nessuno, cercare di riprendere il controllo psicologico del match sugli avversari a stretto contatto con noi. Se infatti si affronta e "si mette sotto" l'avversaro che ci troviamo davanti, possiamo poi dilagare su tutti gli altri, mentre difficilmente accadrà il contrario;
E poi attendere, costruire ogni pallone ed attendere l'occasione buona. Attendere vuol dire impostare, cercando di rischiare il meno possibile.

E se capita una buona possibilità, come un calcio di punizione, prepararsi bene: mettere bene il pallone a terra, concentrarsi e pregare che il pallone finisca là dove deve finire, anche se per qualsiasi motivo dovessimo colpirlo male. Che finisca dove deve finire - o in direttamente in rete o sulla testa o sui piedi di qualche compagno o avversario che sfiorandola la mandi dritta in porta, per pareggiare i conti e pensare a tornare in vantaggio!

26 febbraio 2010

Un letargo che non vuol finire


E' quando la vita guida noi e non siamo piu noi a guidare la nostra vita. É quando abbiamo perso il controllo dei nostri giorni che si susseguono uno dopo l'altro tutti uguali, trascinandoci avanti come un fiume paludoso che non si da dove ci porta, ma che non sfocia nel mare ma in una grossa palude e che ci fa sbattere nelle rocce, facendoci riscoprire impoteti, senza poter decidere del nostro destino, di fronte alla sua forza.

Un letargo che non vuol finire è quando rimaniamo assopiti nelle nostre vite stanche fatte sempre degli stessi bar, degli stessi luoghi, delle stesse cose, stanche. E stancamente ci trasciniamo giorno dopo giorno, tra un caffè e l'altro, senza vivere più la vita ma lasciando che la vita viva noi, in malo modo, senza che abbia il benchè minimo rispetto della nostra persona, del nostro corpo, della nostra mente, delle nostre idee, senza concederci riposo o vista di una fine della sequenza che, guardando sbadatamente, sembra infinita. Ed è proprio qui che gioca: l'effetto letargo è devastante quando sembra infinito, quando vuole dare l'idea che non ha fine, che non tornerà più la primavera e che il sole ancora è lontano. E già siamo stanchi, sfiniti, e già sappiamo che dobbiamo ancora avanti.

Ma c'è in tutto questo pure una cosa bella: la forza che rinasce dentro, nel letargo, perchè, anche se piove e fa sempre freddo, prima o poi la primavera tornerà e la pelle si scalderà ancora con quella sensazione fantastica di quando il sole vuole farla abbronzare per farla guardare da tutti. Resistere!

Resistere nel letargo di un'esistenza senza senso, dove non esiste nessun altro senso se non lo stipendio misero che arriva a fine mese. E' un'esistenza assurda, contro-umana, inutile, dannosa per noi stessi e per gli altri, inquinata, nebbiosa, grigia, incupente, intristente, drammatica, totalmente drammatica. Ma resistere, con la forza che non c'è, perchè resistere conduce alla primavera, alla stagione che se ancora non si vede, prima o poi arriverà - e forse più prima che poi!

Un letargo che non vuol finire non è quello buono, naturale, degli orsi: è quello disumano della coscienza che si addormenta e che cammina completamente al buio, affannosamente andando a tastoni, a destra e a sinistra, barcollando come un ubriaco senza luce che indichi la strada, senza lampade artificiali di artifici ed artifizi che possano aiutare a camminare. 

Un letargo che non vuol finire è bene che finisca, velocemente. E che si riprenda in mano, con la volontà che ancora risiede in noi, i giorni e le strutture, le ore ed il tempo che passa - e che non passa inutlmente e che non torna due volte! - affinchè la primavera della vita ritorni in noi e la vita riacquisti quel senso profondo, eterno, che da sempre cela dentro di se. 

La vita di ogni uomo è un mistero profondo, sacro, talmente piena di bellezza che sembra non bastare mai. E' un po' come le bellezze della natura che si trovano nel mondo: siamo solo noi che costruendo fabbriche ed industrie - dentro e fuori di noi - inquiniamo e ci inquiniamo tutto e da belli possiamo diventare pure brutti, bruttissimi. Da simpatici, antipatici, da sani possiamo divenire malati. Un po' come la natura che da bella e rigogliosa, da verde e ossigenante, può diventare, per causa nostra e solo nostra, disboscata e annientata dalle nostre schifezze chimiche e dai rifiuti della nostra società.

Un letargo che non vuol finire va affrontato, senza paura. I muscoli assopiti, prima o poi si smuoveranno per loro stessa natura. Le labbra torneranno a cantare ed il sapore del vino a bagnarle in pace, sotto i raggi del sole che scaldano la terra. Tutti i giorni, verso l'estate.

Un letargo che non vuol finire va tramutato: se siamo noi che inquiniamo, noi possiamo smettere di farlo. Se siamo noi che spargiamo sostanze chimiche tossiche e che uccidono ogni piccolo filo d'erba verde, possiamo smettere. Possiamo decidere, a partire da dentro di noi, se dormire ancora - dando l'idea a molti che non ce la faremo mai - o se risvegliarci subito, istantaneamente. Perchè chi ha affrontato lunghi e freddi inverni, chi ha sofferto il mal di solitudine e le intemperie di una vita dura, non si spaventerà più di qualche foglia secca sterile d'autunno. Sarà pronto in tutto e per tutto ad affrontare una vita incontro all'Estate, nell'Estate, per l'Estate. Passando per l'autunno e per l'inverno, sapendo che un anche un letargo che non vuol finire, finisce, prima o poi.

23 febbraio 2010

Il codice dell'ospitalità


Due uomini stavano attraversando il deserto quando videro la tenda di un beduino e si avvicinarono per chiedere rifugio. Pur non essendo conosciuti, furono accolti come detta il codice di comportamento dei nomadi: fu abbattuto un cammello e la sua carne servita in una lauta cena.

Il giorno seguente, dato che gli ospiti erano ancora lì, il beduino fece abbattere un altro cammello. Stupiti, i due uomini dissero che non avevano ancora terminato di mangiare quello che era stato abbattuto la sera precedente.

- Sarebbe una vergogna servire cibo vecchio a coloro che ospitiamo – fu la risposta.

Il terzo giorno, i due stranieri si svegliarono presto e decisero di proseguire il viaggio. Dato che il beduino non era in casa, lasciarono a sua moglie cento dinari, chiedendo nel contempo scusa di non poterlo attendere, giacché se si fossero trattenuti ancora a lungo, il sole avrebbe finito per diventare troppo forte.

Avevano ormai fatto quattro ore di cammino quando udirono una voce che li chiamava. Si girarono a guardare: il beduino li stava inseguendo e, quando li raggiunse, gettò il denaro a terra.

- Io vi ho accolto così bene! E voi, non vi vergognate?

Gli stranieri, stupiti, dissero che i cammelli valevano certamente molto di più, ma loro non avevano molto denaro.

- Non sto parlando della somma – fu la risposta. – Il deserto accoglie i beduini ovunque essi vadano e non chiede mai niente in cambio. Se dovessimo pagare, come potremmo vivere? Accogliere voialtri nella mia tenda ha significato ricambiare una frazione di quello che la vita ci ha dato.


Dalla newsletter Il Guerriero della Luce n.218 di Paulo Coelho

18 febbraio 2010

Conoscersi per accogliersi

Villa della famiglia Borromeo sull'Isola Bella nel Lago Maggiore

Non sempre si attracca in posti accoglienti: a volte persone o situazioni non ci lasciano possibilità alcuna di attraccare e di scendere nella loro terra, in pace!

A volte, siamo talmente siamo arroccati in noi stessi chiusi e incasinati, impauriti e feriti che siamo come castelli continuamente pronti alla difesa di noi stessi. Non ci sono fessure, non ci sono appigli ne spiragli di passaggio. Non c'é cosi scambio di niente, non c'é possibilita di una conoscenza diversa dal guardarsi reciprocamente da lontano - anche se magari siamo compagni di scrivania o vicini di casa - con paura ed indifferenza - ognuno guardando dal suo spazio, uno dalla propria barchetta e l'altro dalla finestra del proprio castello! - e allora non c'é festa, non c'é accoglienza, non c'é intesa, non esiste fratellanza. Ognuno se ne ritorna alle proprie cose senza essersi lasciati niente gli uni degli altri, senza essere stati un dono reciproco, nella semplicità.

E stiamo ben attenti a non scambiare l'accoglienza col "fare affari"!

Fare affari significa sorridere e stringere la mano: ma non si parla d'altro se non degli affari stessi e non ci si mostra per quel che si è ma si mostra quel che conviene far vedere per vendere o acquistare - è come attraccare un attimo su qualche spiaggetta laterale del castello per vendere o acquistare perline ma giusto il tempo necessario alla trattativa, per poi tornare ognuno velocemente ad inseguire i propri scopi!

Accogliere è ben altra cosa: vuol dire aprirsi, far entrare, mostrarsi per quel che si è - nel bene e nel male, senza nessuna paura - ed allo stesso tempo accettare, ricevere quel che ci viene dato, far posto per l'altro, scambiare qualcosa di vero che sia qualcosa di più di un oggetto, una moneta, un comando dato o eseguito, un consiglio elargito o ricevuto.

Accogliere è aprire le finestre del proprio castello per far entrare la luce e preparare una bella cena per chi approderà alla spiaggia vicina - chiunque esso sia! - e condividere quel che di più bello abbiamo - dentro e fuori!

Accogliere vuol dire donargli una stanza del nostro castello - donargli un posto dove dormire dentro di te, dove trovarti sempre! Permettergli di venire a disturbarti anche alle 3 di notte senza nessun problema, fare colazione assieme, prestargli, se necessario, la propria barca per raggiungere le isolette vicine.

Accogliere vuol dire scendere dalla finestra del proprio castello e fare un giro sulla barca dell'altro per poi invitarlo a ristorarsi nella nostra reggia, al calore del nostro caminetto, come se fosse il nostro più caro amico d'infanzia.

Accogliere vuol dire aprirsi a chi può raggiungere con la sua barca il nostro castello ed imparare a farsi accogliere dai castelli chiusi degli altri. Cercare di aprire il nostro castello innanzitutto, per essere accolti anche negli altri castelli ed entrare così gli uni negli altri - gli uni nelle vite degli altri - per guardarsi da vicino, anche se siamo lontani - riscoprendosi uguali pur nelle diversità - e per sentirsi vicini - davvero vicini - a chi è sempre intorno a noi, quotidianamente.

15 febbraio 2010

Lasciare il porto della propria casa

Barca ormeggiata al porticciolo della Isola Bella nel Lago Maggiore

Se te ne stai sempre chiuso nella stessa stanza - nella stessa città, nello stesso luogo, nella stessa azienda - sarà difficile incontrare qualcosa di nuovo.

Approdare ad una mentalità nuova, sfruttare capacità e competenze rimaste ancora seppellite, incontrare visi e volti sconosciuti ritrovando nei loro, i tuoi - i miei - giorni, nelle loro storie le tue - le mie - avventure, nelle loro esperienze le mie - le tue - esperienze.

La vita è un continuo dinamismo, un continuo moto perpetuo. Occorre evitare di farla diventare una palude melmosa nella quale non si riesce più a muovere un passo in nessuna direzione e non "nella direzione giusta", ma proprio in nessuna direzione. Eppure non è così facile mantenerla fresca e viva, non è affatto banale perchè per fare ciò occorre un lavoro quotidiano, un'attenzione giornaliera all'odore ch'essa emana, un occhio sempre vigile che non si stanca mai di osservarsi, correggersi, interrogarsi.

E poi fare un bel tuffo nei profumi e nei colori, quelli veri, quelli che profondamente riempiono l'esistenza umana di quel qualcosa di diverso che fa davvero ringraziare, nonostante le difficoltà, di essere al mondo a fare qualcosa, di farne parte, di esserne un piccolissimo pezzettino incasinato.

A volte è decisamente necessario lasciare tutto! Portare il minimo indispensabile con se - sapendo che tutto ciò di cui avremo bisogno lo troveremo là dove siamo diretti  - e lasciare quel che abbiamo per andare incontro a qualcosa di nuovo. Lasciare il porto delle nostre sicurezze per dirigersi verso qualcosa che non conosciamo, godendosi il viaggio, standosene tranquilli, godendosi il sole ed il paesaggio assieme a chi incontriamo e a chi, in qualche modo, vorrà condividerlo con noi.

Salpare su una barca che non è la nostra, per acque di cui non conosciamo le profondità nè l'ampiezza, lasciando che qualcuno guidi e non certo senza pagare il nostro biglietto d'imbarco: ma ben poca cosa è il costo del biglietto rispetto a quel che vediamo e scopriamo - di noi, degli altri e del mondo - ben poca cosa rispetto a ciò di bello che possiamo vedere ed incontrare!

Lasciare un luogo vuol dire abbandonarne la mentalità ma a volte quella certa mentalità ti si attacca addosso e te la porti sempre con te, dovunque vai. Lasciare un luogo vuol dire anche lasciare un po' di se stessi: un po' della propria mentalità vecchia - lasciarla là dove siamo stati accolti o usati - lasciare alcune cose brutte di noi, lasciare un po' di sorrisi, qualche delusione, qualche abbraccio, le risate con gli amici, gli schiamazzi delle cene festose nel vino. Lasciare tutto questo un po' là, sulla terra ferma. E abbandonarli là, incustoditi, affidandoli al vento.

Perchè per salire in barca non ci si possono portare le valigie perchè lo spazio è poco e proprio non c'è posto. Ma questa che, per un viaggiatore preoccupato sembra una cosa grave da sopportare, è in realtà una gran fortuna per un viaggiatore spensierato che sa che non avrà bisogno di molti oggetti nel tragitto - meno roba hai e meno devi stare sempre a sorvegliarla per evitare che ti derubino! Inutile portarsi appresso pesi inutili che non si smuovono se non a spingerli sudando con tutta la propria forza: essere leggeri - dentro e fuori - è la miglior cosa possibile quando si viaggia così che la nostra attenzione non sia posta su ciò che ci trasciniamo dietro, ma su ciò che abbiamo la possibilità di abbracciare ed incontrare nei prossimi passi.

Bisogna essere leggeri, per muoversi bene nell'acqua. La leggerezza del cuore apre mille porte, la semplicità è il miglior dono che si possa ricevere da Dio ed il più bel dono che gli altri ci possono offrire sul cammino offrendo pure a noi, semplicemente, la possibilità di ricambiare quel poco che assieme, possiamo condividere - che è tutto quel che abbiamo!

E partire, partire, viaggiare, viaggiare. E partire, partire, arrivare e partire.

14 febbraio 2010

L'isola dei Pescatori

Isola dei Pescatori nel Lago Maggiore vista dall'isola Bella
Sebbene la vita sia un lungo viaggio, non si può sempre viaggiare senza mai riposarsi né tantomeno è bene viaggiare in acqua senza una meta.

E anche se un lago garantisce che prima o poi si arrivi alla sponda, visto che per sua stessa natura è chiuso e limitato, incontrare una qualche isoletta amica nel mezzo del tragitto, dove mangiare e ristorarsi :), non è affatto una cosa cattiva, soprattutto quando si viene da luoghi dove le uniche isole che s'incontrano normalmente, sono le più brutte "isole di traffico"!

E così approdare ad un'isola e cibarsi, dei vicoletti stretti e colorati e dello sciabordio lieve dell'acqua sulle sponde e sugli attracchi, navigando con la testa e rilassandola fra le onde leggere del vento e del sole - niente di meglio di un buon vino bianco davanti ad un piatto di pasta fumante! - ed abbracciarsi ancora, come il pane fa col sugo, assorbendolo!

Siamo stati pescati da un pescatore di pesci da traghetto, avvistati da lontano, condotti dove tutti per il giro classico. Ma in fondo è così: tutti facciamo più o meno le stesse cose nella vita - e da qualcuno siamo pescati e condotti da qualche parte! - e quel che conta non è tanto farsi giri strani o farsi "il solito giro standard previsto dal menu classico del turista": quel che conta è come te lo fai e come te lo vivi il tuo giro, se lo dividi con qualcuno che per te conta o con tutti, se lo trasformi ogni attimo in qualcosa di bello da vivere e da essere ricordato, nella sua semplice semplicità.

Ogni tanto si può toccare il cielo con un dito e rimanere là, innamorati sorvolando quel che accade sulla terra, altre volte invece si può cercare di evitare le difficoltà delle secche e della terra ferma, navigando a zigo zago su di un battello imbizzarrito, ma prima o poi le difficoltà del cammino sul sentiero sassoso della terra ferma vanno per forza affrontate. Del resto siamo fatti così, predisposti per le strade sassose e non si può sempre volare, tutti i giorni, attraversando le nuvole senza avere nemmeno un po' di quella paura che fa tremare il cuore - come se fossimo su una mongolfiera in mezzo ad una tempesta!

E allora occorre fermarsi un po' su di un'isola per ristorarsi e ritemprarsi... e ritrovarsi! Ed imparare da loro, infaticabili pescatori, rassettatori di reti e districatori di nodi, a lavorare tutti i giorni, con pazienza, per sciogliere ogni laccio ancora non sciolto e per aspettare il tempo buono, quando il sole chiama ancora a lasciare l'isola, per riaffidarsi al mare.

13 febbraio 2010

Le 8 regole per morire presto

Trovato attaccato alla parete del ristorante "Il pappagallo" a Stresa, sul Lago Maggiore
Norme per i dirigenti che non amano la vita.
  1. metti sempre il tuo lavoro al primo posto e la tua persona al secondo;
  2. fa il possibile per andare in ufficio anche di sera dopo cena, nel pomeriggio del sabato e nei giorni festivi;
  3. se non puoi restare in ufficio fino a tardi, prendi con te una borsa piena di lavoro da sbrigare a casa;
  4. non cercare di distendere lo spirito durante i pasti: anzi, se puoi, fa di ogni pausa una discussione;
  5. non concederti alcun svago, tutta roba che fa perdere tempo e disturba la concentrazione;
  6. lo stesso dicasi per le ferie. Meglio rinunciarvi;
  7. non dir mai di no ad un invito: accetta innazitutto gli inviti a conferenze, riunioni e assemblee;
  8. non mollare mai un po' delle tue responsabilità e carica tutto sulle tue spalle: infatti sei un uomo indispensabile.
Se seguirai queste regole, la tua Ditta farà bene a guardarsi attorno per cercare chi dovrà occupare presto il tuo posto.

Eh, sì lo so, sembra davvero incredibile anche a me ma queste regole in cui credo fortissimamente, non le ho scritte io! :) Quando me le sono trovate inaspettatamente di fronte, appese alla parete di un ristorante sul lago Maggiore, proprio non ho saputo resistere alla tentazione di fotografarle e ho riso almeno 20 minuti come un ebete, da solo. Troppo belle!

Per filo e per segno, avrei potuto scriverle io!

A dimostrazione del fatto che molte persone, alla fine, passano per gli stessi posti magari in epoche diverse, magari in situazioni diverse, eppure incredibilemente uguali!

Non sono firmate e dunque non ho idea di chi le abbia trascritte a mo' di pergamena come "verità da passare agli altri e da tenere bene a mente", ma chiunque sia stato ha chiaramente la mia totale stima :)  e gli riconosco tutte le ragioni del mondo! 

Ho provato a chiedere al padrone del locale ma non mi ha saputo dire niente: lui ha detto che lquel quadretto lo aveva lasciato attaccato avendolo ereditato dalla precedente gestione. Non sembrava molto interessato in realtà: asciugava i suoi bicchieri sbadatamente rispondendo alle mie domande con sufficienza. Ma per me quelle parole erano come un segno da seguire o meglio, un segnale per una strada da evitare, che già sto cercando di evitare :)

E quel che mi mette i brividi è quando capita di trovare conferme alle proprie idee o supposizioni così, quando proprio non te lo aspetti mai, per la strada, e nei posti più disparati e proprio in momenti incredibilmente perfetti, quando proprio diciamo... "casca a fagiolo"! :)

Trovare ciò di cui hai bisogno, quando se ne ha bisogno. Trovare conferme quando si ha bisogno di conferme. Trovare senza cercare anche se in fondo siamo sempre in ricerca. Scoprire che già avevamo scoperto. Rileggere da altri quel che avevamo scoperto essere vero per noi.

E vi sembra poco?

8 febbraio 2010

Alzai la testa e vidi sopra di me la montagna


Alzai la testa e vidi sopra di me la montagna, la più alta montagna che io avessi mai visto. Non si vedeva nemmeno la cima da quanto era alta perché le nuvole non lasciavano vedere oltre la propria fitta coltre grigia.

Non era la prima volta che mi trovavo sotto un’alta montagna. Ero abituato a quella vista e la guardai osservandola attentamente ma sapevo già da principio che ce l’avrei fatta. Nei miei occhi si leggeva un certo timore, ma nella bocca si delineava un certo sorriso, un sorriso quasi stupido, un sorriso insolito per uno che si trova in quella posizione. La montagna infatti mi guardava dall’alto della sua statura, in silenzio, senza dirmi niente, attendeva solo i miei passi per vedere se ce l’avrei fatta oppure no.

L’attesa della montagna era l’attesa del grande guerriero, del guerriero saggio che sa attendere il momento buono per sferrare il colpo decisivo all’avversario. La montagna mi attendeva. Lei era pronta.

Continuavo a guardarla, a scrutarla negli occhi se avesse avuto occhi. I suoi fianchi erano discretamente ripidi, sassosi in alcuni punti e folti di vegetazione in altri. Non si capiva bene quale fosse il versante più facile da scalare, e se veramente quella montagna avesse versanti più amichevoli di altri. Da quella posizione sembrava non lasciare quasi speranze di una riuscita dell’impresa. Ma non c’era da aver paura. Dalle esperienze passate avevo appreso quanto la paura può bloccare il cervello, la nostra mente si offusca a causa della paura fino a non riuscire a fare le cose più semplici a cominciare da un sorriso. Stavolta non dovevo cadere in quell’imbroglio, nel tranello che la Paura ti pone sempre dinanzi per farti cadere, per lasciarti andare nel Buio, per farti entrare nella Non Speranza presentandoti davanti la cattiva Disperazione. Ma aveva imparato la lezione: Disperazione l’aveva vista talvolta e non doveva parlare con lei perché era solamente cattiva ed era puro Male; Paura non aiutava affatto, anzi mi deviava verso sentieri che sembravano portare in alto ma che poi, facendo un lungo giro, riconducevano a terra, nello stesso punto di prima facendomi perdere solo prezioso Tempo.

Qual era quindi il giusto modo di sfidare quell’ostacolo? Affrontarlo a testa alta, come fanno i guerrieri. Perché se la montagna ti guarda da guerriero e ti aspetta da guerriero, non si può che sfidarla da guerriero, nella semplicità del guerriero, fiero e sicuro ma attento, desideroso della sua vittoria sul nemico. Aveva scalato altre montagne e anche se si portava appresso la stanchezza della fatica del cammino, era pronto per affrontarne una nuova, forse più grossa. E’ così che accade a chiunque mette sempre alla prova se stesso ponendosi in una condizione di insicurezza la quale però lo esorta continuamente a dare il massimo nella totalità del suo essere. Se uno mettendosi alla prova si lascia andare, finisce col perdere la sfida. Quel fiume allora lo travolgerà e sarà perduto. Ma se invece con tutte le sue forze quel tale riesce a stare aggrappato ad una ramo anche quando la corrente è molto forte, allora la salvezza è vicina. Può raggiungere la terra.

Guardavo la montagna e pensavo che solo da questo si riconosce un uomo, cioè dal modo in cui scala la montagna. Perché nella vita tutti sono chiamati a scalare montagne, ognuno a suo modo. Qualcuno forse certe montagne se le sceglie, ma certamente altre montagne da scalare gli si opporranno davanti quando meno se lo aspetta. E in quel momento e solo in quel momento, un uomo scopre quanto è maturo e quanto è pronto ad affrontare il problema che gli si è fatto dinanzi. C’è chi scappa subito e costui è un uomo perso, e vive all’interno di un ciclo perché se oggi scappi dinanzi ad un problema, certamente un giorno questo ti si ripresenterà; se continuerai a scappare allora ti accorgerai del ciclo e capirai che potrai interrompere tale processo solo affrontando il problema.

Non è importante tanto quello che fai, spesso è importante come lo fai. Come ti poni davanti ai problemi, come guardi quel bicchiere d’acqua mezzo pieno o mezzo vuoto, come ti senti davanti ad una montagna e come ti imposti interiormente di fronte ad essa per affrontare la sfida.

Ero là, dinanzi a quell’ammasso altissimo di terra, che soltanto terra in fin dei conti era, e riflettevo sulla vita e su come mi stavo ponendo nei suoi confronti. Da ingenuo pensavo e credevo che la vita fosse facile. Mi sbagliavo, e quando me ne accorsi a mie spese ne assaporai l’amarezza mordendo quei cattivi bocconi perché non potevo sputarli. Per un po’ di tempo mi rimase uno strano retrogusto amaro, un retrogusto che non mi piaceva e mi lamentavo di quei bocconi che dovetti mangiare. Per questo i miei occhi, di fronte a quella vista, non erano del tutto sereni. Adesso però mi trovavo là, ancora una volta di fronte ad una nuova montagna, una nuova sfida. Adesso però era nata una nuova consapevolezza in me, forse più matura della precedente. Forse, addirittura, mi sentivo più forte di prima avendo appreso che le mie forze sono misere dinanzi a tutto quello che può capitare, ma avendo dentro al cuore la Speranza e la Forza di affrontare tutto quello che sarebbe giunto sulla mia strada. E per questo quello strano sorriso si stampò sul mio volto e non lo lasciò per tutto il cammino, fino a quando raggiunsi la cima della montagna.

Così, per raggiungere la cima, adottai un trucco appreso in tempi passati.

Abbassai la testa e non guardai nient’altro se non la strada e i sassi che la componevano a partire dai miei piedi fino ad un metro di distanza. Riducendo la vista delle cose, era come ridurre il problema ad un insieme di piccoli problemi più facilmente risolvibili. Del resto lo Spavento dovuto all’enorme altezza della montagna, decisamente sproporzionato rispetto alle mie pochissime forze, era tale che altre volte, di fronte ad altre montagne, tutte le mie forze se ne erano andate via abbandonandomi totalmente al mio destino; sprecavo troppe forze dal punto di visto emotivo e non mi restavano energie da impiegare nella risalita pratica. Invece abbassando lo sguardo e concentrandomi solo sui piccoli passi che dovevo compiere giorno dopo giorno, era decisamente più facile arrivare in cima. Lo Spavento se ne andava e di pari passo cresceva la Sicurezza nei miei mezzi. Mi accorgevo infatti che sapevo affrontare bene ogni giorno quelle salite e imparai che salita dopo salita non si poteva che giungere alla vetta.
Ero pronto dunque. Potevo alzare gli occhi in alto e sfidare la montagna. “Sto arrivando bella, sto arrivando!” dicevo alla vetta della montagna.

Ecco il perché di quel sorriso. Già da principio sapevo che sarei arrivato in cima, anche se di certo non sapevo bene come.

Da un testo dell'eploratore Bakug

5 febbraio 2010

Prima impara, poi, forse, insegni! (forse)


Solo se hai vissuto un'esperienza, ne puoi parlare. Solo se hai davvero imparato, puoi insegnare.

E anche meglio: se hai imparato qualcosa e sei diventato "esperto" in qualcosa, è incredibile come la vita ti proponga sempre il momento in cui devi passare a qualcuno quel che hai appreso. E' un momento importantissimo!

Tu hai appreso qualcosa da qualcuno. Per un po' te lo tieni per te, ci lavori sopra, ci pensi e ci ripensi, lo stiri e lo tiri per tutti i versi. Poi giunge il tempo in cui di quel che hai appreso non te ne fai più di niente, quel giro di ruota ha già fatto il suo corso. E' tempo che qualcuno apprenda da te - ormai non più allievo ma maestro in quella circostanza - per iniziare il suo giro di ruota, un altro qualcuno che da allievo, apprenderà, lavorerà, divenendo poi maestro. In un susseguirsi senza sosta di apprendimento ed insegnamento, quasi fosse un unico ciclo di vita.

Non succede solo una volta nella vita ma molte volte perchè molte sono le circostanze in cui prima siamo allievi - tutte! - e poi maestri - solo qualcuna! - ed è sempre bello perchè si ha l'occasione di condividere quel che si è incontrato, appreso ed elaborato. E da poco che credevamo di aver appreso, si scopre improvvisamente di aver imparato tanto perchè quando ti metti a spiegare, vedi che da un concetto si passa ad un altro e poi ad un altro e ci si rende conto che ci vuole un po' di tempo per capire come funziona.

E ci sono cose che non si apprendono dai libri perchè l'esperienza vissuta sul campo vale più di cento testi letti nella propria stanza pieni di belle e meravigliose teorie fantastiche.

3 febbraio 2010

I tempi difficili possono essere principio di tempi migliori


Arriva sempre il periodo nero: la vita è un'alternanza di alti e bassi, un po' in tutte le cose. Credo che i momenti non positivi siano anche un'occasione per "ridimensionare se stessi" e ricontrollare la rotta - capire dove vogliamo arrivare, cosa vogliamo fare, cosa siamo in grado di fare, cosa siamo chiamati a fare per nostre caratteristiche e qualità!

Ci sono periodi in cui semini, e non raccogli niente. Periodi di magra.

Ci sono i periodi in cui raccogli, senza aver seminato niente ma ricevendo il frutto dei tempi in cui, seppur seminando, non ottenevi niente - o almeno così sembrava a te!

Sì perchè magari quei tempi, forse un po' più magri come soddisfazioni ed appagamenti personali - come riconoscimenti degli sforzi fatti - hanno creato e creano quel buon humus di sottofondo - quasi invisibile ma necessario! - affinchè, in tempi di abbondanza, tu sappia mantenere bene i piedi in terra ed affrontare ttuto quello che verrà amministrando bene le varie situazioni, senza montarti mai la testa.

Dunque, morale della favola, l'importante è seminare e non demordere. Perchè prima o poi, qualcosa, si raccoglie.

Hai solo un po' di foglie secche nelle mani? Puoi fare due cose:
  • guardarle ed avvilirti ancora di più per aver sprecato tempo ed energie e potrai gettarle vie ed affidarle al vento finendo per avere proprio le mani vuote!
  • guardarle e capire che, forse, peggio di così, è davvero difficile fare: dunque può essere un buon punto di partenza - si può solo andare in meglio!
  • guardarle e piantarle a terra così che anch'esse trovino la loro utilità e possano concimare contribuendo a far nascere qualcosa di nuovo e di bello - una nuova pianta che produce ossigeno!
Perchè se non hai ancora ottenuto quel che credi di poter ottenere, persevera ed otterrai! I tuoi insuccessi o le tue non-del-tutto-vittorie siano una spinta in più per il proseguo del cammino. Le cose è pure bello conquistarsele e se non ci fossero difficoltà, che soddisfazione avresti? Ricordati pure che le difficoltà, in svariati modi, ci sono per tutti, nessuno escluso e che dunque, a parità di difficoltà, chi imparerà a gestire meglio se stesso ed a sfruttare meglio le occasioni, potrà godere meglio del proprio tempo vissuto.

Quando avrai conquistato tutto quel che volevi conquistare, cosa farai ancora del tuo tempo? Rallegrati che ancora hai molte cose da conquistare per cui combattere!

E non sprecare mai il tempo: cerca sempre di capirne il senso - dargli sempre un senso nuovo, scoprirne il senso che esso nasconde! - perchè trovare un senso a quel che si fa è una buona molla per smuoversi dall'immobilità di un periodo non troppo roseo.

Cambia il modo in cui guardi le cose: cercane gli aspetti positivi anzichè quelli negativi.

Svegliati dal torpore negativo in cui che certe situazioni cercano di farti cadere! E smuoviti - dipende solo da te! - non perdere tempo a lamentarti. Risveglia il bello che c'è in te!

Ed i tempi difficili passeranno perchè tu stesso avrai contribuito a farli passare trasformandoli in tempi migliori!

1 febbraio 2010

Non si possono sempre avere buone mani

Coppia d'assi
Sarebbe impossibile! Sarebbe come dire che nella vita va sempre tutto bene e tutto come avremmo sempre sognato, o ancor meglio, tutto splendidamente, tutto felicemente, tutto senza problemi ed imprevisti.