12 marzo 2011

Di tanto in tanto bisogna chiedersi: come andiamo sul fronte della credibilità?

Di tanto in tanto bisogna chiedersi: come andiamo sul fronte della credibilità?
Quanto siamo credibili?
Tutto ciò che facciamo con l'intenzione di ottenere un effetto su qualcun altro ha successo solo nella misura in cui quest'ultimo ci crede. Se non siamo credibili, ciò che cerchiamo di fare viene recepito e decodificato dai nostri destinatari all'interno di un ampio spettro di sfumature, che vanno dal divertimento sfrenato al disprezzo più assoluto.

In pratica tutti gli oggetti o utensili che compriamo ufficialmente, ossia pagando l'IVA corrispondente, sono garantiti per legge: in cambio del nostro denaro devono funzionare almeno per il periodo di tempo prefissato. La garanzia esiste solo per incrementare la fiducia del consumatore.

E rispetto a noi stessi, a tutto ciò che facciamo, diciamo e progettiamo? Oppure, e in alternativa... rispetto alla nostra impresa e a tutto ciò che offre e progetta? Sappiamo se veniamo creduti, oppure semplicemente sentiti?

La credibilità è fondamentale perché significa che ciò che emaniamo all'esterno giunge ai nostri destinatari coperto da garanzia. La credibilità è la nostra garanzia di accettazione. E proprio come accade con i brand, non è una garanzia eterna: ha sempre una data di scadenza. In ogni caso, però, nel breve o medio periodo serve per ottenere qualcosa: nessun futuro cresce da solo, bisogna annaffiarli e accudirli tutti.

Avere un'idea chiara del livello di credibilità di cui godiamo - come persona, impresa o istituzione - è determinante in vista della solidità e della continuità del nostro cammino. 

A livello personale, la solidità si misura in base alla quantità e alla qualità degli accordi e dei fiaschi che ci accompagnano nel nostro costante deambulare biologico.

A livello aziendale si verifica esattamente la stessa cosa, benchè curiosamente, per gli enti di ricerca che si dedicano ad esaminare nel minimo dettaglio le imprese per cui lavorano, la misurazione del livello di credibilità attribuito dal mercato è una questione irrisolta. Non sarà perchè, se potessero misurarlo chiaramente, in alcuni casi dovrebbero spiegare che il principale motivo della scarsa credibilità di cui godono è l'immagine proiettata dagli stessi dirigenti?

(tratto da "Pensa, è gratis - 84 idee pratiche per sviluppare il talento ed avere successo" di Joaquìn Lorente, pag. 144)

La credibilità dell'azienda nei confronti dei suoi dipendenti passa dalla credibilità percepita dai dipendenti nei confronti dei propri dirigenti. All'interno di un'azienda però, non tutti sono a contatto quotidianamente con i propri dirigenti - e dunque col nodo centrale dell'azienda - e dunque la credibilità passa di capo in capo, fino ad arrivare al tuo capo, fino a dare proprio a te un'idea di più o meno credibilità. Per un dipendente il primo "dirigente" con cui ha sempre a che fare è il proprio capo: se il proprio capo è credibile, allora si può facilmente credere in quel che si fa, ma se non lo è, ahimè, come si potrà fare qualcosa in cui non si riesce più a credere?

Da dove passeranno, se non dal proprio capo, i valori aziendali tanto sbandierati ed evangelizzati ai 4 venti come "valori chiave" dell'azienda? Chi insegnerà ai nuovi arrivati quali sono i valori che governano un particolare modo di comportarsi, se non la credibilità stessa, immediata - in atteggiamenti, comportamenti e parole - dei capi?

4 commenti:

  1. @martinealison: Pinocchio, mais toujours dit pas de mensonges! mais était certainement sympathique :)

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  2. Per lo meno a livello privato ci si può distrarre, di tanto in tanto.

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  3. @Adriano Maini: sì, in linea generale sì... anche se ci sono "mestieri" in cui il privato si assottiglia tendendo in certi periodi, devastatamente allo 0! (grantisco!)

    :) no buono, ci vuole il giusto tempo per fare tutto quel che serve per vivere bene...

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