15 giugno 2020

La schiavitù del piacere

Forse sarebbero stati sempre i soliti discorsi. Ma non erano mai i soliti discorsi.

Lo raggiunsi di buon passo, come sempre, anche quella sera. Ormai le nostre chiacchierate erano quasi divenute per me così necessarie che davvero non avrei potuto, almeno in quel momento, distaccarmane, come invece fui costretto dalle circostanze della vita non dopo molto tempo.

La stanza del faro era illuminata solo dalla lieve luce della lanterna. Fuori pioveva e faceva freddo. La pioggia batteva forte sui vetri del faro e, se non fossi stato mosso interiormente a raggiungere quel luogo, non mi sarei certo avventurato al freddo e al gelo bagnando l'unico cappotto buono che ancora mi portavo appresso dovunque andassi.

Mi aspettava e appena mi vide, non appena sentì i miei passi per le scale e vide spuntare fuori la testa, iniziò a parlare senza nemmeno salutare. Il saluto era addirittura qualcosa in più da quanto eravamo ormai diventati affiatati.

« Stasera ti voglio parlare della schiavitù che affligge l'uomo. Sto parlando della schiavitù del piacere e del piacersi » disse con voce ferma. Era seduto sulla sua solita sedia e mirava lontano, fuori dalla vetrata, al di là delle gocce che picchiavano forte ma che tanto amavo sentire battere con forza contro le pareti e sui tetti, passione che custodivo gelosamente nel cuore fin da quando ero piccolo.

« Sei mai stato al bar del porto? O in qualche locale notturno? » mi chiese.
« Certo » risposi. Ero solito andare al bar a giocare a poker per vincere qualche soldino e fare quattro risate con qualche amico o qualche conoscente, giusto per ammazzare la serata.
« Beh, guarda bene le facce della gente. E dimmi, sono contenti di essere uomini? Sono contenti nelle loro bevute una dietro l'altra, senza nemmeno assaporare il gusto del liquore? » si alzò e venne verso di me. Mi guardò in faccia, si avvicinò ancora, e con la mano destra mi prese per il braccio e iniziò a scuotermi. « E dimmi... dimmi... vedi dei volti sereni, volti di uomini e donne che amano e che si amano? Vedi degli occhi splendenti di luce? Vedi uomini che vogliono bene a colui con cui prendono da bere e ridono e scherzano e giocano a carte? » continuò col tono della voce che andava di pari passo al movimento del braccio e che mi scuoteva, e non soltanto fisicamente.
« No, non sono volti sereni. Eppure ridono. Eppure scherzano. Eppure sembra non poterci essere un'altra via » risposi. Colto su due piedi non sapevo che dire ma non potevo negare l'evidenza.

« Siamo tutti afflitti dalla piaga del piacere e del piacersi, dalla schiavitù di dover rispondere ai gusti degli altri e nemmeno ce ne accorgiamo. E come uno esce un attimino fuori dai binari, rimane solo. Eppure non è solo, anzi, forse costui è il meno solo di tutti gli altri. Anche se non lo sanno di essere soli. Solo la sera, quando se ne vanno a letto, la tristezza li coglie in fallo. Ma non ascoltano nemmeno più la tristezza. Non hanno più voglia di ascoltare... ascoltare niente, né se stessi, né gli altri... ed il buio si prende questi uomini senza speranza, perché l'unica speranza che hanno sono loro stessi, una speranza vana, una speranza triste ». Mi lasciò e si mise a camminare spostandosi di vetrata in vetrata e guardando ancora fuori, verso l'orizzonte oscurato dal maltempo.

Mi sembravano discorsi strani. Sebbene gli altri suoi discorsi li avessi spesso e volentieri capiti, quella sera stentavo a comprendere quanto mi diceva il cercatore di Verità.

« In vita loro essi non hanno guardato a nient'altro se non a loro stessi ed implicitamente, senza chiedersi nemmeno se mai potesse esistere un altro ragionamento migliore del loro. Hanno seguito il se sto bene io, stanno bene tutti quanti che equivale al me ne frego degli altri. E l'hanno fatto col sorriso, ridendo, scherzando, giocando a carte. Ed hanno incontrato la morte e moriranno in giacca e cravatta oppure di fianco alle loro mogli con le pellicce, tutte lustre e piene di trucchi » disse continuando a muoversi e a gesticolare. « La morte dell'uomo porta alla tristezza. Non è un bell'abito che rende nobile un uomo e non sono i soldi che lo rendono felice. Non è un sorriso sul volto che dimostra la gioia perché dietro a quel sorriso può nascondersi un baratro d'infelicità. Beati quelli che piangono e che non si vergognano di farlo per Amore della Verità » concluse. Si placò, quasi continuasse a riflettere sulle sue ultime parole. Mi sentii quasi in imbarazzo tanto sentivo quel discorso lontano da me e dalle mie vedute. Ero solito giocare a poker e ridere e spendere i miei danari, guadagnati sudando a fare il mozzo, nel gioco e in qualche altro piccolo vizio. Ma guardando bene, forse, avevo paura di comprendere il discorso del mio amico, sebbene lo sentissi profondamente vero, ed avevo paura perché mi ritrovavo in quella schiera di uomini vicini alla morte, ad un passo dal baratro nel quale chi ci cade dentro, spesso, non se ne accorge nemmeno e vive ridendo e mangia ed ingrassa. E così, come un vitello, si gode la vita per come può, per come gli hanno insegnato che sia giusto, senza speranza, senza novità, nella più completa apatia, perché tanto è così e non può essere diversamente.

« Beh... » inizia balbettando « ...credo di ritrovarmi anche io in quegli uomini » affermai timoroso.
« Non avere paura » rispose il cercatore di Verità « perché ci siamo tutti dentro a questo giochino. Non è che se io dico queste cose non ci sono nel mezzo come gli altri. Ma ho visto che la via buona è un'altra. E per questo te la racconto, perché tu ti corregga, se vuoi, e perché entri nella Vera Gioia. Ti dico queste cose perché tu diventi libero » disse « e se vuoi puoi fare buon uso dei miei consigli e della mia esperienza ».

Mi stava facendo un regalo. Ogni nostro colloquio era davvero un bel regalo che ricevevo. Era un uomo particolare. Aveva speso il suo tempo, prima che nel lavorare, nel capire. Per questo mi affascinava il suo parlare. Ero attratto da quelle parole.

« Bisogna distaccarsi un po' da se stessi per osservare bene le cose altrimenti il nostro sguardo non è oggettivo e veritiero. Per questo anche piacersi, che sembra una cosa sacrosanta, può divenire un inganno. Piacersi presuppone molto spesso il piacere agli altri. Così cambiamo i nostri modi di fare, i nostri sguardi, i nostri pensieri affinché siano vicini a quelli degli altri, ma perdiamo così il nostro io più profondo il quale a volte si discosterebbe dal pensiero dei più. Facendo questo inganniamo noi stessi, ma anche gli altri, perché diamo un'immagine di noi che non è affatto quella reale. Non abbiamo ancora scoperto chi siamo. E diventiamo facilmente dei burattini nelle mani di chi dirige la società perdendo la libertà dei figli di Dio » affermò con sicurezza. « Occorre invece piacere a Dio, cercare la giustizia, cercare la Verità delle cose, amare, ma se non si ama Dio, non si ama mai niente e nessuno veramente. Però, non conoscendo l'Amore, nemmeno ce ne rendiamo conto e continuiamo sulla nostra strada a volte senza vedere mai bene, come nella nebbia dicendo a noi stessi che tanto è così che deve andare e che non c'è un'altra strada nella luce e al sole » concluse. Poi si fermò, si rimise a sedere e mi guardò sorridendo. Fuori il tempo era sempre molto brutto e la temperatura nella stanza non era delle migliori. Incominciavo a sentire freddo stando fermo immobile ad ascoltare. Le sue parole però, mi sembravano più facilmente masticabili. I suoi occhi erano nella luce. Quell'uomo aveva il dono di vivere ciò che diceva, per questo era credibile quando parlava. Lui si era interrogato ed aveva scoperto l'altro sentiero, quello al sole.

« Invece c'è il sentiero della Luce, giusto? E' questo che mi vuoi dire stasera? » chiesi sorridendo anch'io.
Ridacchiò. « Sì, sì, c'è. Basta cercarlo. Ed è un sentiero che non dipende da ciò che fai nella vita. Infatti, se così non fosse, cioè se tale via della Luce fosse vincolata ad una certa professione o ad un luogo, non potrebbe essere raggiunta da ogni uomo. Invece, questa strada stretta è lì per tutti quanti la vogliano intraprendere, a volte è in salita e così molti mollano lungo il tragitto nonostante si fossero detti "Io vado!" con grande convinzione iniziale. Ma si fa presto per la fatica ad infiacchire le gambe e ad avere meno energie lungo il cammino. Ma che uno faccia il fruttivendolo o che uno sia un comandante di una nave, che uno sia un prete o un barbone di strada, c'è una Luce interiore che può essere trovata la quale illumina e ripaga per ogni fatica ed ogni angoscia, che nutre e che sfama coloro che hanno fame e sete di Giustizia. Quella luce... » si fermò un attimo prima di pronunciare il resto del discorso « ...quella luce è Dio! » disse a gran voce.

Che il cercatore di Verità fosse un tipo strano questo lo sapevano tutti in paese. Ma che quest'uomo fosse un amante di Dio, quello lo avevano capito in pochi. Molti lo insultavano o lo schernivano al suo passaggio, ma egli rimaneva calmo e non se ne curava. A ben guardare anche questa sua caratteristica era una cosa che parlava da se, ma nello sguardo comune non si notava questo fatto. Davvero in quel frangente pensai che gli occhi degli uomini difficilmente vedono bene le cose. Il più delle volte si limitano a mirare, poche volte vedono, raramente scrutano.

« Cerca Dio. Usa tutti i mezzi che hai a disposizione. Non limitarti mai in questo. Osserva. Guarda. Comprendi. Sarai un buon cercatore... » disse sorridendo.
« Beh, ti ringrazio... ma non mi sento tale per adesso. Devo ancora iniziare. Sono ancora all'inizio del gioco » risposi.
« Beh affrettati! » riprese « ...il tempo è sempre tiranno! Non perdere occasione di cercare perché la Luce la si può trovare ovunque, con chiunque, in qualsiasi situazione. Allenati ed imparerai presto. E se vai al bar, ricorda: quello è un ottimo luogo per iniziare a cercare la Luce, è uno dei migliori. Io ho iniziato lì. Adesso però andiamo, si è fatto tardi » disse e si avviò per le scale. Fuori continuava a piovere. Scesi dopo di lui i pochi gradini che ci dividevano dalla strada, poi mi voltai un attimo per chiudere la porta del faro. Quando mi voltai il cercatore di Verità era scomparso. Solo la pioggia e il suo rumore mi facevano compagnia. Non riuscii nemmeno a salutarlo quella sera. Ma il saluto sarebbe stato superfluo. Alzai lo sguardo verso il cielo, nero e scuro, e aprii la bocca: l'acqua fredda me la riempì e mi ricoprì il volto e in breve divenni una spugna che cammina. Ma quanto è bello farsi bagnare dalla pioggia fredda, d'inverno. A mio modo ero un po' pazzo anche io, come il mio amico. Ecco forse perché con me, a differenza degli altri, si era un po' aperto per svelarmi i segreti che in vita sua aveva faticosamente cercato, ma non invano.

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