15 febbraio 2020

Sento compassione di questa folla, perché già da tre giorni mi stanno dietro e non hanno da mangiare

Compassione che muove all'azione (della vicinanza)
Sento compassione di questa folla, perché già da tre giorni mi stanno dietro e non hanno da mangiare. 

«Sento compassione di questa folla, perché già da tre giorni mi stanno dietro e non hanno da mangiare. Se li rimando digiuni alle proprie case, verranno meno per via; e alcuni di loro vengono di lontano». È bello pensare come la preoccupazione che Gesù ha per ognuno di noi non è mai una preoccupazione astratta. Spesso quando ci riferiamo alla gente che ci è affidata ci rivolgiamo a loro chiamandole anime. Ma se è pur vero dire che il cristianesimo si occupa della salvezza delle anime non va mai dimenticato che le anime esistono in dei corpi, in delle storie, in delle relazioni. Cioè dobbiamo stare attenti a non spiritualizzare talmente tanto il vangelo da farlo diventare astratto, indifferente verso i bisogni concreti della gente. Gesù salva le persone, non salva solo la loro anima. Per questo ne guarisce a volte i corpi, li strappa dalla morte, li perdona, li rimette in pace, li nutre. È il caso di oggi in cui tutto il miracolo ruota attorno a un pranzo al sacco che non può farsi per mancanza di provviste: “Gli risposero i discepoli: «E come si potrebbe sfamarli di pane qui, in un deserto?»”. Sembra che il realismo dei discepoli sia più reale di quello di Gesù. Ma la lezione che sta per dare Gesù a tutti loro è una lezione che deve rimanere impressa in ognuno di noi: “«Quanti pani avete?». Gli dissero: «Sette».  Gesù ordinò alla folla di sedersi per terra. Presi allora quei sette pani, rese grazie, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero; ed essi li distribuirono alla folla. Avevano anche pochi pesciolini; dopo aver pronunziata la benedizione su di essi, disse di distribuire anche quelli. Così essi mangiarono e si saziarono; e portarono via sette sporte di pezzi avanzati. Erano circa quattromila”. Un cristiano deve sempre fare i conti con la realtà, deve sempre essere realista ma non deve mai dimenticare che nella realtà non ci sono solo le cose che si riescono a contare ma c’è anche la misteriosa Provvidenza di Dio che sa tirare fuori dalle cose reali non solo ciò che ci serve ma anche ciò che alla fine avanza.
Marco 8,1-10 #dalvangelodioggi di Luigi Maria Epicoco

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Quando abbiamo bisogno di aiuto, chi ha compassione di noi?
Ci sono ambienti e luoghi e situazioni dove, non appena si vede un "morto", subito arrivano gruppi di avvoltoi che "non aspettavano altro che un altro di cui dividersi le vesti", e che si fiondano sopra la salma per cibarsi degli ultimi scampi di vita che contiene, fino a renderlo, finalmente, niente.

A volte anche il nostro niente può moltiplicarsi, senza che ce ne accorgiamo nemmeno, può diventare "qualcosa" per "qualcuno" che nemmeno immaginavamo mai. Magari un qualcuno incontrato per caso che non era nei piani che pensavamo per la nostra vita, o la vicina di casa, o una persona incontrata sull'autobus che improvvisamente decide di raccontarci mezza sua vita, coinvolgendoci nelle sue storie e vicissitudini. Non possiamo saperlo, non siamo noi gli artefici completi del nostro vivere, ma in quanto facenti parti di un qualcosa di più grande veniamo talvolta usati per guarire, nutrire qualcuno, fare compagnia a qualcuno, regalare qualcosa di bello ad altri - altri noi sparsi nel mondo - anche quando pensiamo di non averne le risorse o le energie, anche quando ci sentiamo davvero giù di corda e siamo più spaesati delle persone con cui parliamo.

E lo stesso vale per gli altri, che diventano inconsapevolmente "cibo" per noi e per le nostre giornate, ricordandoci che siamo tutti molti "uniti" da fili invisibili ma reali.

E tutto questo non si tratta altro che de le strane e meravigliose coincidenze che capitano nella vita che non sono altro che pani e pesci che la Vita stessa ci offre nel momento estremo del nostro bisogno. Perché, alla fine, la fame è fame e la fame è proprio brutta.

Non solo fame di cibo da mangiare come pasta, carne e verdure, ma cibo che nutre la nostra anima, le nostre parti più profonde, che sono assolutamente da nutrire esattamente come il corpo. Corpo e anima, insieme.

E notare, che tutto accade quasi nell'invisibilità e senza annunci e proclami eclatanti. E' come se ad un certo punto le persone si rendessero conto che "stanno tornando a mangiare qualcosa di sostanzioso", finalmente qualcosa di buono, che lo "stomaco" stava davvero iniziando a borbottare forte.

Perché i miracoli a volte avvengono così, nel silenzio e nella vita quotidiana. Come gli incontri con persone speciali, incontrate per caso. Al massimo il racconto passa di bocca in bocca fra i conoscenti, fra i vicini e non va più in là, ma l'obiettivo non è che divenga "virale" o "famoso" bensì che serva a quello che deve servire - guarire, sfamare, aiutare, rinsavire, ricostruire. Per il resto, se anche nessuno lo sapesse, chi se ne frega. O no?

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