29 febbraio 2020

Strategie nel gioco degli scacchi


Un gioco che non passa mai
Esistono due categorie di giocatori di scacchi.

La prima è quella che dal basso guarda in alto. Elabora strategie, secondo ciò che vede, partendo dalla sua posizione, da cosa può ricavare, a partire da una mossa e dalle reazioni dell'avversario. La differenza tra un bambino e il leggendario Deep Blue della IBM sta solo nel numero di semi-mosse elaborabili.

La seconda categoria è quella che guarda dall'alto verso il basso. Elabora strategie partendo dalle mosse dell'avversario e costruendogli un percorso sempre più invitante che però lo porta in trappola.

Impropriamente, si direbbe che la prima categoria è "matematica", la seconda è "filosofia". Forse un po' più precisamente: la prima è "tattica", la seconda è "strategia".

La bravura, negli scacchi, non è massimizzare il risultato di una singola mossa, ma il risultato di una serie di mosse, possibilmente ampia come l'intera partita. Gli scacchi, infatti, sono un gioco "a somma zero".

È normalmente difficile distinguere la categoria cui appartiene un "bravo" giocatore di scacchi. Sono sicuro che i veri maestri appartengono esclusivamente alla seconda categoria.

Io sono un umile pivellino, rigorosamente nella prima categoria. Ho giocato a scacchi con persone molto più brave di me, ed ho assaporato la differenza tra la prima e la seconda categoria, invidiando quelli che per dono naturale appartengono a quest'ultima.

Deep Blue, a suo tempo, non riuscì a sconfiggere un essere umano, malgrado quest'ultimo ragionasse ad una velocità miliardi di volte inferiore. Infatti, un campione della prima categoria può vincere uno della seconda solo per estenuazione e per sproporzionata superiorità.


Originariamente tratto da http://www.alfonsomartone.itb.it/vgnfzs.html

trascritto il 28 maggio 2012

Mi ha insegnato a giocare a scacchi mio nonno. Avvocato, era una persona piuttosto taciturna e decisamente pacifica, ma certamente sapeva argomentare bene tutte le questioni di cui parlava, dove dimostrava la sua modalità "professionale" nel dettagliare ed argomentare i suoi enunciati.

Sempre in completo e cravatta, durante la settimana per questioni lavorative e durante i giorni festivi credo per una sorta di "rispetto" alle festività, ha sempre provato a fare 13 e non ci è mai riuscito, salvo una volta che da giovane ci andò molto molto vicino. Mi raccontò di questo episodio qualche anno fa, non molto prima che andasse in Cielo.

Quando ero piccolo (avrò avuto 12 anni?), capitava che il menù domenicale fosse questo: pranzo dai miei nonni "in città", io svolgevo le funzioni di cameriere per tutti e il pranzo di mia nonna era sempre buono. Dopo pranzo, io e mio nonno giocavamo a scacchi, nel soggiorno di casa sua, usando come scacchiera un tavolino di legno che sopra aveva intagliata una scacchiera e sotto si apriva a cassettino, per custodire tutti i pezzi. Mi aveva insegnato lui come si muovevano i pezzi e qualche piccola strategia. Non importava chi vinceva - anche perché era certamente una prova impari - ma era bello stare assieme e giocare. Era tempo che ci dedicavamo l'un l'altro e lo ricordo con affetto. Dopo questo, spesso andavamo allo stadio, io e lui e mi portava sempre in tribuna coperta a vedere la partita, di serie C. Mio nonno era un abitudinario nato, e andavamo sempre nello stesso posto, della stessa fila, stessi seggiolini. Mi piaceva un sacco andare a vedere la partita dal vivo perché il calcio è sempre stata la mia passione, e da sempre, ogni volta che trovo qualcosa di rotondo a cui dare un calcio mi ci metto a giocare. (una volta per questo mio vizietto, ho spaccato una finestra di un ristorante, beccandomi una lieve brontolata da mio babbo... però ammetto che fu divertente, anche perché feci goal!). Quindi, tornando a mio nonno, ascoltava tutte le partite alla radiolina - credo fosse per controllare la schedina che come detto giocava settimanalmente - e nel frattempo guardava la partita dal vivo. Certo il mondo del calcio me lo immaginavo diverso da quello che poi mi si rivelò successivamente, ma la magia che suscitava al mio cuore, quella la percepivo ogni volta che sentivo il rumore di un pallone rimbalzare sull'erba. Arte allo stato puro per le mie orecchie ed i miei occhi. E da più grande, anch'io realizzai il sogno di giocare in quello stadio, su quell'erba, guardando dal campo la tribuna dove mi sedevo sempre da piccolo, con mio nonno.

A mio nonno dedico questo breve pensiero, mandandogli un abbraccio grande ovunque sia. Sono certo che la sua onestà profonda, lo avrà condotto alla Luce Vera.

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